Razionale Scientifico
Numerosi studi clinici controllati, con obiettivi quali mortalità e morbilità per cause cardiovascolari (CV) e mortalità per tutte le cause, hanno documentato il beneficio della terapia ipocolesterolemizzante nel ridurre il rischio di un nuovo evento cardiovascolare. Da questi studi risulta evidente l’importanza clinica di un corretto trattamento farmacologico delle dislipidemie e negli ultimi anni si è assistito ad un continuo progredire delle conoscenze sul suo impiego clinico. La riduzione dei livelli di colesterolo trasportato dalle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) con i farmaci ipolipidemizzanti è il principale approccio farmacologico per stabilizzare il processo aterosclerotico.
Le statine sono considerate la terapia di prima scelta per la prevenzione e il trattamento delle patologie cardiovascolari, ma un significativo rischio residuo rimane anche dopo una terapia intensiva. Inoltre, secondo i risultati dello studio Da Vinci recentemente pubblicati, meno del 20% dei pazienti ad alto rischio raggiunge il livello di C-LDL ottimale raccomandato dalle linee guida attuali (<1,8 mmol/L). I pazienti con ipercolesterolemia familiare e iperlipidemia mista su base genetica non raggiungono questo livello con la terapia standard. Tra le possibili ragioni alla base di questo fenomeno, una è certamente l’aderenza al trattamento con statine. Secondo i dati del rapporto OSMED 2018, la percentuale di soggetti con bassa aderenza al trattamento si attesta al 41.6%, con una probabilità del 50% di interruzione della terapia a 6 mesi dall’inizio. Le motivazioni di questo fallimento terapeutico comprendono terapie concomitanti, fattori genetici ed effetti collaterali: è infatti noto come elevati dosaggi di statine siano associati ad aumentato rischio di miopatie, dei livelli degli enzimi epatici, di insorgenza di diabete di tipo 2 ed anche della mortalità non CV. Queste ultime considerazioni suggeriscono come una terapia combinata sia potenzialmente più favorevole rispetto ad una terapia con dosaggi elevati di statine nel ridurre il C-LDL.
In quest’ottica, grande interesse hanno recentemente suscitato gli anticorpi monoclonali contro la proteina PCSK9 in grado di ridurre sensibilmente il C-LDL. La relazione tra PCSK9 ed il metabolismo del colesterolo è dimostrata da evidenze genetiche che documentano come varianti del gene che codifica per la proteina PCSK9 siano associate a variazioni dei livelli circolanti di C-LDL. Sulla base di queste premesse, di particolare interesse sono gli effetti ipocolesterolemizzanti osservati in fase II e in fase III di sviluppo clinico con gli anticorpi monoclonali (mAb) umani specifici per PCSK9. Il legame dell’anticorpo monoclonale a PCSK9 impedisce la sua interazione con il LDL-R, e di conseguenza la degradazione dello stesso con il risultato finale di favorire la captazione epatica delle LDL circolanti e la riduzione dei livelli di C-LDL. I dati ottenuti dopo il trattamento con mAb verso PCSK9 sono molto significativi sia per l’effetto di riduzione del C-LDL osservato (-55-70%) sia per la consistenza dell’effetto in diverse tipologie di pazienti ipercolesterolemici non a target dopo trattamento con alte dosi di statine +/- ezetimibe sia per intolleranza alle statine. Gli effetti ipolipidemizzanti dei mAb contro PCSK9 osservati comportano anche una significativa riduzione dei livelli di apo B (-57%), colesterolo totale (fino al 50%), non-HDL-C (fino al 60% ) e Lp(a) (-32%), ma effetti modesti su C-HDL e trigliceridi. I dati ad oggi disponibili evidenziano un profilo di sicurezza e tollerabilità dei mAb verso PCSK9 particolarmente favorevole. Queste molecole hanno dimostrato un significativo beneficio clinico riducendo il rischio di eventi CV maggiori del 15-20% in pazienti in prevenzione secondaria e costituiscono oggi un’importante arma nella lotta all’aterosclerosi sia in aggiunta alla terapia con statine e/o ezetimibe in pazienti con ipercolesterolemia grave o con dislipidemia mista, sia come alternativa per i pazienti intolleranti alle statine.
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